Una donna, un vino da re e un’operazione di marketing ante litteram
E’ il vino dei vini. Alzi la mano chi non conosce e chi non ama il Barolo, il re dei vini italiani, il rosso che ci invidia tutto il mondo. La sua storia è molto simpatica e davvero antica. Intanto, vale la pena ricordare che il Barolo è prodotto da uve Nebbiolo, vitigno la cui etimologia è ancora controversa. Secondo alcuni l’origine del nome viene dalla grande quantità di pruina, sostanza biancastra sulla buccia, che crea una sorta di nebbiolina sugli acini; altri, invece, sostengono che il nome derivi dalle nebbie che appaiono tra i vigneti quando si raccolgono le sue uve, con una vendemmia tardiva rispetto ad altre varietà. Altri ancora lo legano alle sue origini in un certo senso “nobili”. Ed ecco perché.
Inizialmente il Barolo veniva vinificato dolce. Incredibile, vero? Eppure già nel ‘700 aveva una certa fama in tutto il mondo il nostro vino. Il Barolo che conosciamo oggi, però, lo dobbiamo a una donna, a Juliette Colbert, meglio nota come la marchesa di Barolo. Nata a Vandea, nella Loira, e discendente del ministro del Re Sole, nel 1804 alla corte di Napoleone incontrò Carlo Tancredi Falletti di una delle più ricche e antiche famiglie piemontesi. I due si sposarono e si trasferirono a Torino dove la marchesa, mecenate e donna mondana che si intratteneva con personalità come Camillo Benso Conte di Cavour e Cesare Balbo, ebbe un’idea che molti considerano ancora oggi una delle prime operazioni di marketing territoriale.
Una volta constatata la qualità del vino prodotto dalle vigne della zona intorno alla tenuta dei Falletti, Giulia chiamò, anche su consiglio di Cavour, il celebre enologo francese Louis Claude Oudart. E con il suo contributo si riuscì a ottenere un vino secco e adatto a un lungo invecchiamento. Il vino, insomma, che tutti conosciamo.
Quel rosso prezioso venne offerto agli ospiti della marchesa, ai banchetti di corte, regalato alle personalità importanti che venivano in visita. Un aneddoto racconta che un giorno Re Carlo Alberto le chiese quando gli avrebbe mandato un po’ di quel vino così buono diventato famoso. E Giulia pianificò una lunga processione di carri per trasportare 325 botti di vino, una per ogni giorno dell’anno, escluso il periodo di quaresima, fino al Palazzo Reale. Ed ecco il vino da re!