Ott 13, 2024

Superiore o Riserva, che vuol dire?

Un può di chiarezza sulle menzioni che si trovano in etichetta, anche per le Bollicine

Ci sono alcuni termini del vino che per gli esperti sono scontati; invece, mi sono accorta che per tante persone che si trovano a dover scegliere una bottiglia al ristorante o ad acquistarla, magari in enoteca, certe paroline che si leggono sull’etichetta possono generare confusione e perplessità sul loro reale significato. É importante essere informati su quello che indicano, anche per scegliere consapevolmente e soprattutto imparare a capire cosa ci piace di più bere e perché in bocca e al naso un vino ha certe caratteristiche, che sono legate anche, come avrete capito, ai termini in questione.

Partiamo con la menzione SUPERIORE: lo è un vino che è stato prodotto seguendo regole più stringenti di quelle previste dal disciplinare per una certa tipologia e di solito ha una gradazione alcolica più alta  (spesso di almeno lo 0,5% in più ) rispetto al tipo “base”, senza la dicitura “Superiore”. Il termine si usa esclusivamente per i vini Doc e Docg, bianchi e rossi. Inoltre, c’è proprio una legge del 2016 che regola e disciplina le caratteristiche specifiche per fregiarsi di questa menzione: il vino deve avere delle caratteristiche qualitative più elevate rispetto alla sua versione “base”, cosa che deriva da una regolamentazione più restrittiva che prevede ad esempio una resa per ettaro delle uve inferiore di almeno il 10 per cento rispetto al vino “normale” dello stesso tipo. Ricordando che meno quantità è quasi sempre sinonimo di più qualità.

Bisogna però fare attenzione quando si parla di Prosecco Superiore: in questo caso la distinzione tra il Prosecco “normale” e quello Superiore si usa solo per indicare la zona di produzione specifica: il Prosecco Superiore, infatti comprende le denominazioni Conegliano-Valdobbiadene ed Asolo. E i vigneti da cui è prodotto sono su superfici collinari con proprietà specifiche, rispetto alla zona più estesa e pianeggiante del Prosecco Doc.

La menzione RISERVA, invece, riguarda quei vini che hanno subìto un invecchiamento minimo superiore rispetto a quello previsto dal disciplinare di produzione del vino stesso. Per produrli c’è grande attenzione, si distinguono quindi per la qualità superiore che inizia già nella scelta attentissima delle uve e delle pratiche enologiche che vengono seguite per arrivare al lungo invecchiamento e far sprigionare al vino quei sentori particolarissimi e complessi, consentendogli di esprimersi al meglio. L’invecchiamento di un vino “Riserva” può durare mesi o addirittura anni, a seconda delle normative locali e delle preferenze del produttore. Inoltre, ci sono anche delle regolamentazioni regionali specifiche riguardanti la produzione dei vini con questa menzione in etichetta, che possono includere requisiti minimi di invecchiamento, percentuali di alcol, e altri fattori che devono essere rispettati. In generale, il periodo di invecchiamento necessario per parlare di “Riserva” è di almeno due anni per i rossi e di almeno un anno per i bianchi ma può essere anche un periodo più lungo se è stabilito dal disciplinare per un tipo di vino preciso. Nei vini di lungo invecchiamento si noterà anche un’evoluzione del colore: i rossi tenderanno al granato o al mattone, mentre i bianchi andranno verso il dorato intenso o ambrato. Riserva si intende sempre per vini Doc o Docg e si applica anche alle bollicine per gli spumanti di qualità superiore, sempre in riferimento al periodo minimo di maturazione sui lieviti stabilito dal disciplinare di produzione.

Fatta maggior chiarezza? È sempre bene bere consapevolmente! E allora…

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